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 G i o r g i o   R i g o n

VERIDICITÀ E VEROSIMIGLIANZA

Le molteplici forme di rappresentazione della realtà

Premessa

    Questo breve saggio costituisce la sintesi di uno studio sui movimenti estetici orientati verso la rappresentazione della realtà che si riconoscono, comunemente, nella nozione di Realismo.
La particolare attenzione che rivolgiamo alla fotografia è dovuta alla consapevolezza, ormai universalmente acquisita, che essa non sempre riunisce i requisiti della veridicità inequivocabile nella rappresentazione del vero.
    Nei primi decenni del XX secolo, con l’avvento del fotogiornalismo, si è creduto che il supporto d’immagini fotografiche ad un testo di cronaca conferisse all’informazione giornalistica un alto coefficiente d’attendibilità. Tuttavia si è presto riconosciuto che fotografare non è appropriarsi della cosa che si fotografa, bensì stabilire con il mondo una relazione particolare che dà la consapevolezza di avere acquisito una conoscenza e, quindi, un potere. Come tutti i poteri, la fotografia è soggetta ai condizionamenti imposti dalla volontà umana che vuole la comunicazione sempre orientata ideologicamente fino, nei casi estremi, ad operare la manipolazione delle coscienze.
    Nel presente studio la fotografia è inserita tra le arti visuali e posta a confronto con le principali esperienze artistiche legate al Realismo, allo scopo di esaminare le connessioni e le influenze reciproche tra i diversi linguaggi.

Realismo e Realismi

    "Realismo è un termine di largo consumo nella Storia e nella Critica d’Arte Contemporanea. Il suo significato, però, non è così chiaro e univoco come sembra." (Antonello Negri).
    Ad iniziare dalla metà del XIX secolo, per indicare le esperienze artistiche legate alla rappresentazione della realtà, sono stati coniati i termini: Naturalismo e Verismo; la critica d’arte infine, dall’inizio XX secolo in poi, usa assimilare nell’unica nozione generica di Realismo diverse esperienze quali l’Espressionismo, alcuni manufatti d’ispirazione dadaista, il Realismo americano, la Pop Art, la Minimal Art, l’Iperrealismo, per non parlare del Realismo Sociale cui gli artisti sono stati vincolati nelle nazioni sottoposte a diversi, anche opposti, regimi dittatoriali.     In quasi tutti questi movimenti i pittori hanno tratto ispirazione dalla fotografia e, a sua volta, la fotografia, in alcune forme e modalità operative, è debitrice della pittura.
    L’approccio fotografico con la realtà, infatti, è iniziato negli stessi ambienti dell’arte figurativa (gli Ateliers di pittori e di scultori), non solo per la naturale evoluzione di un sistema figurativo ma, soprattutto, perché le iniziali ingombranti attrezzature di ripresa ed i tempi lunghi d'esposizione comportavano sedute prolungate e staticità delle pose analoghe a quelle degli artisti.
    Oggi possiamo affermare, schematizzando, che l’approccio fotografico con la realtà può avvenire in tre modi o procedimenti differenti, attraverso:
  1. La "predisposizione del soggetto" e "l’organizzazione dell’ambiente" teatro della ripresa. In questo tipo di fotografia, la sala di posa è erede del classico atelier del pittore; ma anche l’ambiente esterno in cui ci si appresta a fotografare qualcosa o qualcuno richiede lo stesso studio di predisposizione sia del soggetto sia di ciò che lo circonda.
  2. La "cattura", in tempi rapidi, con procedimento "furtivo, casuale o istintivo" di un soggetto, per lo più inconsapevole, resa possibile dall’evoluzione della tecnologia, sia tradizionale sia digitale.
  3. "L’organizzazione post ripresa" di una composizione fotografica che consente all’autore-fotografo di conferire al prodotto figurativo finale valori estetici e/o concettuali che si aggiungono o, addirittura, si sostituiscono a quelli della ripresa iniziale.
È evidente che i tre suddetti procedimenti si sviluppano nel quadro della rappresentazione realistica, almeno nella fase iniziale, tuttavia la percezione del reale differisce dall’una all’altra:

  • nel primo (fig. 1) il soggetto, se umano, trasmette una visione di sé secondo il sembiante, la gestualità, il riflesso psicologico, da lui stesso scelti, sotto la cui maschera si studia di apparire; un realismo, quindi, costruito e controllato;
  • nel secondo (fig. 2), tipico del fotogiornalismo e del reportage, l’immagine fotografica è dotata del più alto quoziente di veridicità e di credibilità, entro certi limiti però, poiché l’intento ideologico del fotografo fornisce una visione personale dell’evento, attraverso la scelta del momento dinamico e dell’inquadratura;
  • nel terzo (fig. 3) emerge l’aspirazione ad inserire la produzione fotografica nel dibattito delle Arti figurative, fino ad emulare o a sfidare le performances degli artisti dediti alle installazioni ed alle ambientazioni di natura concettuale.

La Base Documentaria

    La "Base documentaria" è all’origine dell’ispirazione d’ogni opera figurativa se non addirittura, d’ogni atto comportamentale dell’uomo.
Il concetto di Base Documentaria lo sintetizzo con un paio d’esempi:
  1. Il grande illustratore Achille Beltrame che, prima della diffusione della fotografia giornalistica, era incaricato di fornire informazione visiva sui periodici più popolari dell’epoca (dal secondo al quarto decennio del XX secolo), dipingeva in modo realistico eventi e situazioni della cronaca politica, militare e sociale italiana; la peculiarità delle sue opere era quella di rappresentare, calligraficamente e con rigore scientifico, alcuni aspetti dello scenario, avvalendosi di fotografie e, poi, di tratteggiare, con enfasi espressionistica ed estro poetico, gli aspetti umani.
    Moltissime delle sue figurazioni dovevano assolvere ad una funzione propagandistica, ad esempio, a favore dell’interventismo nell’imminenza del primo conflitto mondiale (fig. 4/a).



    Lo slancio generoso del combattente, l’atto eroico di un assalto all’arma bianca erano rappresentazioni che producevano grand’emozione, nella comune consapevolezza che la scena era rappresentata con perfetta aderenza alla realtà. È evidente che fotografie e testi letterari hanno rappresentato la Base Documentaria delle sue opere.
  • Un fotoreporter, la cui identità è ignota, ha ripreso, con indubbia bravura e tempismo, il particolare di una carica di cavalleria (fig. 4/b). Come possiamo risalire alla base documentaria che ha ispirato, non soltanto il fotografo, ma anche gli stessi combattenti impegnati nell’atto irruente e impavido della carica?
  •     Nell’iconografia dell’arte celebrativa dei due secoli precedenti al nostro vi sono figure ricorrenti, create per esaltare le virtù dell’ardimento e dell’eroismo prodigati per giuste e nobili cause, una tipologia d’atti e di forme, ormai stereotipate, recepite dall’immaginario collettivo com’essenza realistica degli eventi bellici: pensiamo ai gruppi marmorei dei monumenti ai caduti, alle rappresentazioni pittoriche d’atti eroici, come l’assalto con la baionetta ed il lancio di granate a mano. Questo tipo d’iconografia, in guisa di Base Documentaria, suggerisce agli stessi combattenti, coinvolti nella contingenza reale, la dinamica degli atti comportamentali fino a rappresentarne il modello da imitare. Parimenti, è questa stessa Base Documentaria che indirizza il fotoreporter nella ripresa del particolare dinamico nel momento culminante, per fornire ai lettori un’immagine del tipo che loro stessi si aspettano.

    Documentare e Docu-mentire


        Ho scelto questa forma d’allitterazione, sotto forma di figura retorica, per trattare, anche in modo provocatorio, il complesso tema della fotografia storica, della fotografia di genere, della fotografia veridica, della fotografia verosimile e di quella mendace.
        Il "docu-mentire" accompagna sempre lo storico nelle sue ricerche come l’ombra del "documentare". Il passato, infatti, non gli si presenta mai nell’intero e continuo processo di genesi e di sviluppo di un’azione, ma solo come un cumulo di frammenti che, nella loro intermittenza e varietà, consentono di ricostruire solo la traccia degli eventi. Ogni documento del passato è già in qualche modo un’interpretazione del momento in cui si produce e, in quanto tale, può essere anche un involontario "docu-mentire", oppure un deliberato "mentire". La disinvoltura con la quale si può docu-mentire, soprattutto attraverso la manipolazione digitale delle fotografie, rende sempre più incerta e aleatoria la ricostruzione della realtà storica.
        L'iconografia fotografica, finalizzata all'informazione, si compone d'immagini dotate d’alto quoziente di credibilità, ma anche d'immagini di genere che, già di per sé, rappresentano forme edulcorate ed estetizzanti della realtà ed, infine, di altre immagini manipolate così abilmente da non poterle distinguere da quelle del fotogiornalismo, inteso nel senso più etico del termine.
        In questa sede mi limito a polarizzare l’attenzione sulla fotografia (fig. 5) e sulla didascalia che riporto di seguito:
        "Bologna, maggio 1945. Dopo la liberazione, un operatore alleato realizza questa foto: una presunta spia fascista arrestata e condotta davanti al muro di palazzo Accursio, dove i fascisti avevano fucilato diversi partigiani. Quella sera, annotò il fotografo, «il corpo della ragazza venne trovato alla periferia della città». Era uso degli operatori militari arricchire le immagini di ampie didascalie che spesso riportavano informazioni non vere. Infatti, quando l’immagine e la suddetta didascalia vennero pubblicate sul settimanale «L’Europeo» (10 aprile 1962, n. 13), la circostanza fu smentita dalla donna stessa (13 maggio 1962, n. 19)".
        Nel caso illustrato, la fotografia non è mendace; fantasioso e mendace è, invece, il testo con cui il fotogiornalista di allora ha creduto bene di commentare l’immagine, allo scopo di produrre maggiore impatto emotivo al lettore.
        Un tipico esempio in cui il linguaggio genuino della fotografia, supportato da quello letterario, improprio, determina un’informazione mendace.
    Giorgio Rigon
    gi.rigon@virgilio.it
    Bressanone, gennaio 2005




    BIBLIOGRAFIA
    • AA.VV., Professione Fotoreporter – L’Italia dal 1934 al 1970 nelle immagini della Publifoto di Vincenzo Carrese, Baldini, s.l., 1983.
    • Laroni Gianni, Realismo americano. Immagini nell’arte USA 1865-1975, Marsilio, Venezia, 1980.
    • Negri Antonello, Il Realismo da Courbet agli anni Venti, Laterza, Bari, 1989.
    • Fonti iconografiche
    • AA.VV., la seconda guerra mondiale, 1940-1945, Storia fotografica della società italiana, Editori Riuniti, Roma, 2000.
    • Pagine Web con fotografie tratte dall’archivio di Santomauro Luca:
      www.galileimirandola.it/lezioni/guerra/allcarri2.htm
      www.galileimirandola.it/lezioni/guerra/allcarri2.htm
      www.galileimirandola.it/lezioni/guerra/novembre14.htm
    • Rigon Giorgio, Archivio fotografico personale.