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 G i o r g i o   R i g o n

    Colui che, privo affatto di conoscenze dell’umana natura, sorvolasse la terra, ricercando dall’alto le opere dell’uomo funzionali alla sopravvivenza, al progresso, alla produzione di ricchezza, individuerebbe anche molti manufatti che sembrerebbero non corrispondere alle suddette esigenze; costruzioni in apparenza irrazionali, erette sulle coste, sulle più alte montagne, nelle lande più remote e inospitali, persino nei deserti e nelle foreste; opere più o meno complesse che, in ogni caso, affascinano sotto il profilo estetico. Per accedervi si praticano itinerari articolati e tortuosi, spesso impervi, essi pure privi d’ogni logica, rispetto al pensiero positivista.     Sono i luoghi dello spirito, eletti ed organizzati per corroborare un sentimento che sia chiama "Fede", un particolare senso alimentato in ogni essere umano da una voce misteriosa che viene dal profondo dei tempi e che pretende all’<Eterno>.
    In ogni epoca l’uomo, sospinto da un’irresistibile necessità interiore, ha conferito a questi <topoi> dello spirito una funzione specifica, comune a tutte le credenze: dare forma visibile e rituale al sentimento della Fede.
    Pensatori, letterati, teologi d’ogni confessione hanno tentato di definire la <Fede> e ci hanno lasciato proposizioni che, per la loro vaghezza ed apertura, consentono anche a noi oggi di sviluppare nuove ipotesi, nella piena consapevolezza che non saranno mai definitive.     È stato enunciato che la Fede è "la molla che consente di superare il peso dei giorni"; è "la singolare forza che anima le azioni"; è "la nascita di Dio nell’uomo".
    La definizione più ricca di significato ce la dà S. Paolo: "La Fede è il fondamento delle cose che si sperano e la prova di quelle che non si vedono".
    Altri affermano essere la Fede "l’unica risorsa possibile quando il destino ci tradisce"; ai giorni nostri, proprio per il ricorrere frequente dei tradimenti del destino, sembra essere questa la definizione più recepita.
    Arrigo Levi, a tale proposito, asserisce: "... è proprio in un momento di disperazione che si colloca l’atto di creazione dell’idea di Dio nell’animo dell’uomo. Forse, più che nell’ammirazione delle glorie del Creato, è nel profondo della disperazione per le ingiustizie della vita e della storia, nei momenti in cui l’uomo vuole sperare contro ogni speranza che egli proietta la sua forza d’animo nella creazione di Dio: Dio figlio della sventura dell’uomo, quindi, più che dei suoi trionfi."
    

    Al di là d’ogni riflessione sulla genesi del sentimento fideistico, l’uomo si aspetta che, in cambio di una professione di fede, gli siano assicurati protezione fisica, diretta, immediata e, soprattutto, il conforto della speranza. A queste istanze, ogni confessione religiosa risponde con formule che, in vario modo, additano ai fedeli proprio le oasi realizzate per il benessere dello spirito, quali rifugi accoglienti e protettivi. Così, su una delle porte della Grande Moschea alla Mecca, il luogo più sacro per i Musulmani, sono incise le parole del Profeta: "Chi entra qui è sicuro".
    Così, fin dai tempi delle storiche persecuzioni, gli edifici delle chiese cristiane hanno garantito protezione e inviolabilità di fronte a qualsiasi insidia; così lo stesso potere protettivo è conferito ai templi delle religioni orientali ed agli eremi dei saggi, dei Guru, dei Santoni.
    La pratica devozionale che caratterizza i luoghi dello spirito è il pellegrinaggio. Un rituale collettivo improntato, fin dalle sue più lontane origini, a due peculiarità che distinguono nettamente quest’esercizio del culto da tutti gli altri: il raggiungimento di un sito remoto e la funzione penitenziale. Il primo comporta la predisposizione di un itinerario, arricchito di riferimenti mistici che fungono da tappe di preghiera, di riposo contemplativo e d’ascesi, il secondo attiene al sacrificio che, sotto svariate forme, deve essere affrontato, per lo più in modo continuativo, con intento d’espiazione, sacrificio che, in qualche modo, deve essere ostentato, reso pubblico, poiché la fede, come tutti i sentimenti dell'uomo, si alimenta anche attraverso segni esteriori di forte impatto emotivo.
    Sembra instaurarsi così una sorta d’accordo, un compromesso utilitaristico tra Divinità e fedeli a vantaggio di questi ultimi: <io mi assoggetto, davanti a tutti, a qualche privazione, a qualche disagio (retaggio del cilicio e della disciplina che macerava le carni dei primi pellegrini), Tu accogli con benevolenza le mie richieste, alimenti le mie speranze, predisponi il perdono, prepari il mio <al di là> con il godimento della Tua visione oppure mi reincarni in una forma di vita migliore o mi affidi un Karma meno gravoso>, secondo l’orientamento escatologico delle diverse confessioni.
    Che poi l’umanità pellegrinante persegua altri obiettivi è indubbio: il pellegrinaggio alla Mecca, ad esempio (uno dei cinque fondamenti della religione musulmana), ha sempre avuto la funzione di collegare tra loro le tribù nomadi dell’immensa area islamica e di instaurare fitti rapporti commerciali; i monasteri cristiani e le sinagoghe ebraiche hanno sempre rappresentato i più importanti centri di studio e di speculazione filosofica; le cattedrali, le moschee, i templi, gli <stupa>, che costellano il territorio dell’India, sono i principali custodi del patrimonio artistico dell’umanità.
    È forse per questo che oggi si concepisce il moderno pellegrinare come occasione per diversi, altri arricchimenti dello spirito, fino quasi a dimenticare il poetico travaglio dell’ascesi mistica e la funzione penitenziale che corroboravano la Fede dei primi pellegrini.

Giorgio Rigon


Bressanone, 27 marzo 2000