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 G i o r g i o   R i g o n

“l’essenza della sensualita’”

intervista di Umberto Mancini a Giorgio Rigon
Giorgio Rigon, come ti sei avvicinato alla fotografia ?

Da giovane alpinista, usavo la fotocamera per documentare le mie prime arrampicate. Mio padre mi aveva regalato una Pilot” del 1941, (fotocamera reflex biottica formato 4x6 cm.); era talmente sofisticata e preziosa che in montagna …non l’ho mai portata. Cominciavano a giungere in Italia le prime immagini di Capa, di Cartier Bresson, i reportage di “Life”; feci gravitare subito il mio interesse nei confronti dell’umano ma riuscii soltanto a realizzare dei modesti e superficiali bozzetti, coltivai invece, con grande passione l’artigianato della camera oscura acquisendo tutte le tecniche di stampa e di elaborazione del bianco e nero.

Appassionato e studioso d’arte figurativa, abbandonai presto le velleità di diventare un fotoreporter e rivolsi tutto l’impegno ad allineare il linguaggio della mia fotografia al pensiero estetico che informava le opere degli artisti nella loro evoluzione.

Perche’ la fotografia come espressione artistica ?

Se consideriamo che il fotografo deve connettere il fattore “luce” al fattore “linguaggio”, osserviamo subito che, per fare arte, egli ha a disposizione uno strumento limitato, come se un pittore fosse costretto ad adoperare soltanto una matita spuntata.
Per dare vita ad un pensiero d’Arte, il fotografo deve approfondire, prima di tutto, la grammatica della luce e scegliere in che modo applicarla al proprio linguaggio; di qui il dilemma se intervenire sulla luce, governandola a piacimento per adattarla alla propria idea, o accettare la luce così com’è affidandosi all’alea del “plein air”.
In termini concreti, ogni fotografo deve risolvere il conflitto tra sala di posa e contesto naturale, tra fotografia di scena e realismo fotografico, tra artificio e verità, tra atteggiamento predisposto del soggetto e sua libera espressione. E chiaro che ci troviamo di fronte a due modalità operative diverse, anche se paritetiche, ai fini dell’attribuzione del blasone di “artistico”.
Parlare, tout court, d’Arte fatta con la fotografia è presuntuoso. Parlerei umilmente di artigianato di alto profilo. Etichettare come artistici i lavori fotografici, soltanto perché si sono sapute applicare sapientemente la grammatica della luce e, magari, qualche teoria della forma (Gestalt), può essere pericoloso se il tutto non è sostenuto da una vera intuizione d’Arte. La promozione alla categoria estetica dei lavori fotografici di oggi la lascerei ai posteri.

Quali sono i fotografi cui fai riferimento e quali quelli che ti hanno influenzato di piu’ ?

Più che debitore, in termini di ascendenze, a certi fotografi, mi riconosco fortemente suggestionato da alcune grandi figure letterarie. La mia inclinazione costante ed esclusiva verso la figura femminile trae origine, forse, dalla poetica del Dolce StiI Novo. Ogni mia idea iniziale parte dalla concezione della donna come angelicata, dalla Beatrice dantesca che, nella mia visione, si trasforma in frammenti della femminilità piena della Laura petrarchesca, per poi rivestirsi della sensualità della Fiammetta di Boccaccio. Ma più spesso avviene l’inverso: sono le qualità di Fiammetta a colpirmi e, via via che il processo d’idealizzazione si evolve, aspiro alla spiritualità di Beatrice. Questi tre miti letterari rappresentano insieme il patrimonio della donna ideale, non voglio fare a meno di alcuno dei tre. Attraverso i frammenti idealizzati ed elaborati della figura femminile, metto in scena me stesso e lo faccio sempre per nobilitare e sublimare gli istinti. Per quanto riguarda i fotografi, ammiro e sono affascinato da Edward Weston, ma anche dall’artista america Cindy Sherman: il primo, per la capacità di spiritualizzare la forma della donna; la seconda, per la sapienza con cui conduce un coraggioso esame introspettivo su come la figura femminile adegua le strategie di seduzione alle aspettative dell’uomo.

Quale e’ stata la principale soddisfazione che hai ricevuto con questa attività?

Vanitosamente, tre sono state le occasioni in cui mi sono inorgoglito:
  • Il riconoscimento di Maestro della Fotografia Italiana conferitomi dalla FIAF;
  • l’attribuzione del premio quale migliore autore assoluto nel concorso del 50° anniversario della FIAF;
  • la mostra antologica di oltre 100 mie fotografie esposta a Torino a cura del Circolo Dipendenti Comunali.








   Ancora un personaggio che dimostra come si possano ottenere immagini efficaci attraverso l’uso di pochi elementi.
    Le foto di Rigon sono tele dove l’immagine diventa un pretesto per raccontare un particolare attraverso l’uso di segni, elaborazioni ma soprattutto emozioni. Il soggetto preferito e’ il corpo femminile con particolare riguardo al linguaggio della gestualita’ ed ai segni con i quali la donna esprime la propria personalita’ e sensualita’.
   Il corpo da lui raffigurato e’ evanescente e sognante ed esprime al meglio il sogno che esso racchiude. I dettagli del corpo vengono esaltati e rappresentati al meglio attraverso l’uso di segni e tracce che rivelano particolari nascosti e suadenti.
    La fotografia di Rigon e’ elegante ed ermetica al tempo stesso: elegante come solo la figura femminile sa’ essere, ermetica perche’ le tracce indicate rivelano un viaggio infinito attraverso l’uso del corpo, un viaggio che non ha ne’ inizio ne’ fine.
   Qualcuno potrebbe dire che sono immagini studiate e ricercate, poco spontanee e lontane da quello che e’ il “Carpe Diem” tipico dell’arte fotografica, ma non e’ cosi’: raccoglie in un attimo fugace un particolare che rivela l’essenza della sensualita’ esaltandolo attraverso la sua sensibilita’.
   Sono fotografie atipiche e lontane dai canoni tradizionali della cultura fotografica, ma rivelano un terzo occhio assolutamente invidiabile e del tutto inusuale.
Umberto Mancini

Che consigli ti senti di dare a chi si avvicina al mondo della fotografia ?

L’entusiasmo è grande! È la creatività che, invece, non è inesauribile!
Personalmente, ho scelto questo assunto: “concepire la fotografia come continua invenzione, come manipolazione imprevedibile dei materiali, acquisire l’attitudine a cambiare, in ogni momento, le regole del gioco, a trasgredire, a semplificare.”
A mio parere, questi caratteri della fotografia creativa si possono assumere come valore universale. Poiché la fotografia è frutto di esperienze, gusti, sensibilità individuali, suggerirei di conservare la memoria costante dei suddetti principi generali e di improntare ad essi i procedimenti operativi attraverso i quali conferire forma grafica alla visione soggettiva.
Il momento magico non è solo quello dello scatto ma deve prolungarsi nel chiuso della camera oscura, ove elaborare tracciati armonici entro i quali inserire i segni catturati; dialogare idealmente con i dettagli, monumentalizzarli, trasformarli in simboli, raggiungere il massimo della sintesi grafica, seduttrice della fantasia.
Quando si dice, in senso metaforico, dare un’immagine di sé, ciò che viene offerto non è soltanto un’informazione di natura formale. I connotati devono trascendere il mero aspetto visuale per esplorare la psiche, lo spirito e persino l’assetto morale di un individuo. L’immagine fotografica d’Autore aspira ad essere il più perfezionato e convincente veicolo di queste informazioni.
Sono consapevole che esiste una vera e propria frustrazione del fotoamatore, il quale raramente è testimone di eventi talmente importanti da richiedere un personale schieramento ideologico e, quindi, una strategia di ripresa coerente ad esso. Roland Bartes rileva che il fotoamatore, non riuscendo a fotografare ciò che è importante, decreta importante ciò che fotografa. Così assistiamo a composizioni cariche di metafore, di accostamenti concettuali artificiosi, di banali sintesi binarie.
Il fotoamatore spesso plasma il proprio gusto ai modelli della comunicazione commerciale, ad esempio, a quelli proposti da Oliviero Toscani: metafore realizzate, esse pure, attraverso sintesi binarie ma di forte impatto, che non ammettono alternative all’univoco orientamento e che insistono su concetti già recepiti dalla coscienza comune. Difficile proseguire su una strada già segnata con tanto vigore espressivo illudendosi di fare qualche cosa di altrettanto efficace.
Approfondirei, piuttosto, con particolare attenzione, quanto ci viene offerto dal pensiero estetico di alcune post-avanguardie, dal Pop, dall’lperrealismo critico, dalle ambigue manifestazioni del Postmoderno, dalle ultime riflessioni sul Realismo Americano, esperienze che pongono tutto in discussione, non danno nulla per certo, testimoniano gli attuali aspetti esistenziali con le loro contraddizioni, in modo acritico, lasciando ai recettori le considerazioni di ordine morale ed estetico.
Concepire opere fotografiche inquadrabili nella poetica dell’Opera Aperta, ove l’osservatore non si debba limitare ad una contemplazione passiva ma possa contribuire al perfezionamento dell’opera attraverso l’apporto di un’interpretazione critica personale.

Giorgio Rigon & Umberto Mancini
agosto 2003
(*) Intervista pubblicata sul sito "il Terzo Occhio" dell'Associazione Culturale Fotografica Nazionale, edita nel 2003.

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