"L'ESTETICA DELL'INVEROSIMILE"
- Ovvero: la digital-fenomenologia -
I fotoamatori dediti alla
disciplina del digitale, meritano veramente tutta la nostra simpatia, se non altro
perché onorano le virtù peculiari e preziose dell’amatoriato fotografico: la curiosità,
la voglia di sperimentare, l’urgenza di inserirsi nella funzione progressiva
dell’arte del comunicare e, comunque, la volontà di non essere secondi a
nessuno in materia di creatività.
Che poi, sul piano dei contenuti, le
esperienze eterogenee, così come appaiono assiepate nelle nostre manifestazioni,
non si configurino in una vera e propria <categoria estetica> poco importa,
almeno per il momento.
Quando parliamo d’immagine
digitale, infatti, accettiamo immediatamente una perdita di profondità rispetto ai valori della fotografia.
La perdita di profondità è una caratteristica che compromette qualsiasi
manifestazione della cultura, allorquando questa è assimilata dalla massa, e
non vi è dubbio che il traffico intenso delle immagini digitali verso il
terminale del nostro habitat domestico si è massificato.
Approfondiamo pure, ancora
per un po’, gli aspetti tecnici del digitale, non tanto per perfezionarci nel
loro impiego, ma per individuare quelle
<trappole> che si nascondono nei vari Software come scorciatoie
comunicative e che ci sottraggono il controllo del mezzo. Alludo ai vari menù,
ai vari filtri che ci prendono la mano e che intervengono automaticamente per
mistificare le nostre fotografie. A questo proposito, mi sia consentita qualche
riflessione sulla genesi della poetica mistificatoria che, da sempre, i
fotografi si compiacciono di esplorare, attraverso le amate tecniche di camera
oscura prima e, oggi, davanti al computer.
DALLA MANUALISTICA ANNI ‘60 AL KITSCH [1] Risale agli anni ‘60 quel
tipo di manualistica ricca di modelli iconografici che rappresentavano, nel
bene e nel male, un incentivo alla mistificazione del dato visivo per farlo assurgere
alla categoria estetica dell’inverosimile. Classico esempio: la tecnica di separazione
dei toni. Una novità all’epoca. Oggi, dopo quasi quarant’anni
d’applicazione, guardiamo a quella tecnica come ad un fenomeno epocale,
cercando di immedesimarci nell’ingenuo stupore di allora per il virtuosimo
tecnico, ma ci chiediamo anche se non sia più lirico il realismo delle
fotografie originarie, così come erano state scattate con perfetta aderenza al
dato visivo. Vi era la convinzione, avallata anche da certe giurie di concorsi
fotografici, che la semplice, pedissequa riproduzione della realtà oggettiva
offrisse troppo poco alla lettura ed all’estro critico. Quel concetto critico
del troppo
poco…, è, anche oggi, alla base
di molti equivoci sulla creatività, specialmente nelle figurazioni
digitalizzate intrise di surrealismo e di concettuale.
CONFRONTO TRA "AURE"
L’immagine
digitale, se esperita sotto il profilo puramente estetico, ha la stessa pregnanza
espressiva dell’immagine fotografica tradizionale, sotto certi aspetti anche
maggiore. Rimane da discutere sull’Aura [2], di Benjaminiana memoria, che, nell’immagine digitale, certamente
è assente.
L’Aura
è quell’insieme di sensazioni suscitate dall’unicità di un’opera, dal pregio
artigianale di un manufatto, dalla preziosità del supporto, dall’immutabilità
nel tempo.
Ogni fotografia è caratterizzata da due
valenze fascinose cui fanno riscontro differenti tipi d’aura:
il
fascino del manufatto da conservare quale testimonianza di un momento preciso
della Storia. Come tale, la fotografia possiede l’Aura del pregio artigianale
che, con il passare del tempo, s’incrementa fino a sommarsi all’aura
dell’unicità, quando le circostanze gli fanno assumere il valore di reperto
singolare.
il
prestigio del documento socialmente utile, dotato d’elevato tasso di
credibilità da utilizzare ai fini dell’informazione, della divulgazione e del
consumo. È l’aura peculiare della fotografia: quella dell’autenticità e
dell’oggettività , aura che conserva, anche dopo la diffusione attraverso i
mezzi di comunicazione del momento, poiché il suo processo di riproduzione
garantisce, comunque, la conformità alla matrice originale, cioè al negativo.
L’immagine digitale, sotto qualsiasi profilo la si
consideri, appare spogliata sia dell’aura iniziale sia di quella incrementale
del tempo. Non può, infatti, paragonarsi ad un documento fotografico, essendo
più vicina al prodotto litografico ed al videotape, né possedere il prestigio
del documento dotato d’elevato tasso di credibilità e di fedeltà, poiché
l’assenza di un supporto fisico originale, che conservi il simulacro iniziale
della realtà fotografata, priva l’immagine digitale dei requisiti in tal senso.
In assenza d’aure di tipo fotografico, è da
considerare pienamente legittima l’aspirazione di quanti si dedicano al digitale
a confrontarsi con le altre arti figurative e, quindi, a sperimentare i
procedimenti creativi necessari per conferire alle immagini quel tasso di inverosimiglianza che, in
genere, caratterizza le opere pittoriche e grafiche.
ARTE E MISTIFICAZIONE
Il gusto
mistificatorio dei fotografi, come si è visto, trae origine dal desiderio di
inserirsi nella sfera dell’arte. Ma, riflettendo sulla vaghezza del fare arte
oggi, proviamo a sintetizzare le caratteristiche di quello che dovrebbe essere,
secondo me, l’artista ideale della nostra epoca:
".... L’artista contemporaneo interiorizza le
concezioni estetiche del passato, analizza le intuizioni degli artisti che lo
precedono e studia le teorie scaturite dal processo di storicizzazione d’ogni
movimento. Egli è consapevole che ciascuna nuova esperienza, anche la più
rivoluzionaria, matura in un sistema logico e consequenziale d’ascendenze,
d’influssi, di citazioni; un sistema basato su più categorie ove quella
estetica è sempre correlata alle categorie: politica, sociale, morale,
psicologica, storica, ecc.
È solo attraverso l’interconnessione tra
queste categorie che l’artista d’oggi può interpretare il sistema sociale e
comunicare le proprie intuizioni in forme figurali usando vari mezzi, compresi
gli Hardware ed i Software dell’informatica.” [3]
Il
fotografo, compreso quello creativo dedito alle tecniche digitali, non fa
eccezione a questo sistema interdisciplinare, purché non si limiti ad imitare
stilemi già storicizzati, puntando esclusivamente sulla briglia sciolta della
propria fantasia.
Chi preferisce costruire
l’immagine, piuttosto che rimanere fedele al dato visivo, dovrebbe modellarsi
sulla figura ideale dell’Artista Contemporaneo testé lumeggiata, dopo di che si
accorgerebbe che molte soluzioni grafiche presenti nella attuale realtà
digitale non sono frutto di pensieri forti ma cedimenti al gusto elementare
degli accostamenti formali, delle metafore scontate o retoriche, dei concetti
espressi in forma binaria (soggetto principale più elemento surreale) ove il
compiacimento per la soluzione tecnica fa premio sul vigore espressivo.
Come valutare, infine, le
opere qui riprodotte e, in genere, tutte quelle ove il processo di digitalizzazione
allontana dal dato visivo iniziale per tentare l’estetica dell’inverosimile?
Dobbiamo considerarle come
fotografie dall’aura smarrita e, come
tali, osservarle con sospetto, applicando i criteri d’interpretazione e di
giudizio come per le preziose elaborazioni … anni ’60 / ’70?
E se fotografie non lo sono
più, dobbiamo rivestirci del ruolo di critici d’arte ?
Niente di tutto questo! Oggi,in virtù della moderna “Teoria Generale
dei Sistemi” [4],
ci si orienta sempre più verso un processo
integrato nella percezione, nella lettura e nella critica dei prodotti visuali:
dall’arte pittorica ai mezzi per la comunicazione di massa, dai media pubblicitari
alle iconografie illimitatamente riprodotte. I pittori e i critici d’arte
d’oltralpe e d’oltreoceano ci sono già arrivati e lo fanno già. Per noi è
ancora un po’ difficile, dal momento che l’apparato culturale nostrano non
sopporta contaminazioni tra il compartimento della pittura e quello della
fotografia. È certo però che se le immagini che illustrano questo testo hanno
smarrito le aure proprie della fotografia, ne hanno acquisito altre:
quella graffiante della magnificenza dei colori, quella seducente del
surrealismo, quella nuovissima che consente loro di diffondersi con la velocità
della luce.
I contenuti? Per ora sono
quelli della fiaba, dell’invenzione a briglia sciolta, dell’illusione,
nell’attesa di un pensiero estetico più profondo cui poterle ricondurre e di un
rigore compositivo che renda le nostre opere degne di concorrere alla funzione
progressiva dell’Arte.
Bressanone, 20 gennaio 1999
[1] Il termine “Kitsch”
inteso nell’accezione letterale di <scorciatoia comunicativa>,
caratteristica dell'Arte Pop, non come sinonimo di cattivo gusto.
[2] Benjamin, W. , L’opera d’arte nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica, (trad. it. Torino, Einaudi, 1966).
[3] Rigon, G., dalla conferenza Convergenze,
1994.
[4] Bertalanffy,
L.V., "Teoria generale dei Sistemi -
fondamenti, sviluppi, applicazioni", Milano, ISEDI, 1977.
|