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 G i o r g i o   R i g o n

Con la fotografia, nella prima metà del ‘800, nasceva un nuovo linguaggio, diverso dalle parole, diverso dalle altre rappresentazioni iconiche come il disegno e le arti figurative; un linguaggio che, rispetto a queste ultime, assolveva nella coscienza collettiva un ruolo subalterno, se non altro perché, con la sua disarmante fedeltà al dato visivo, sottraeva all'autore l'estro artistico della creatività. Oggi, grazie alla moderna “Teoria Generale dei Sistemi"[1], ci si orienta sempre più verso un processo integrato nella percezione, nella lettura e nella critica dei prodotti delle arti visuali, dei mezzi per la comunicazione di massa, dei media pubblicitari. La fotografia non fa eccezione a questo sistema interdisciplinare.
Ma ben prima della formulazione della citata teoria, molti artisti, a cominciare dai Futuristi e dai Dadaisti, avevano, provocatoriamente, integrato parole a figure. Emblematica, sotto questo profilo, l’opera pittorica di René Magritte ove l’uso della parola serve all’Autore per sottolineare la differenza tra soggetto reale e sua rappresentazione. É ovvio che la pipa e la sua immagine non coincidono, hanno proprietà e caratteri diversi. Eppure chiunque di noi, guardando una pipa disegnata, dipinta o fotografata, alla domanda "cos'è?" risponde "è una pipa".
Ognuno ha quotidiana l’esperienza di questo curioso quanto inavvertibile equivoco dovuto alla convenzione che lega a ogni oggetto un nome. Questa contraddizione genera uno stato di di shock che costituisce la poesia dell'opera che stiamo guardando.
Inoltre il messaggio che il di­pinto ci trasmette è di tipo psicologico-concettuale e ci invita a riflettere che, molte volte, lo scopo dell'opera d'arte o della fotografia non è solo rappresentazione di per sé, ma stimolo per una riflessione. Gli stilisti della moda, essi pure operatori d'arte scoprono, in tempi diversi, che il linguaggio parlato muta con il passare dei tempi, si creano neologismi, slogan, inglesismi che, se impressi capricciosamente sui capi di abbigliamento, possono caratterizzare un periodo, una stagione culturale; si tratta di un linguaggio balbettato, sintetico, come quello dei fumetti.
La moda, così, interagisce con le parole, non più adottando la grafia da precettore con cui Magritte ci spiega che il simulacro pittorico non è la realtà, ma con le linee armoniche e gli occhi rotondi di alcuni caratteri bodoniani . Al fotografo non sfugge questa integrazione tra due diverse discipline espressive, egli la registra, a suo modo, alterandone le forme, così, la figura femminile, disinvolto veicolo di nuovi messaggi, viene monumentalizzata, isolata dal contesto in cui deambula; le lettere del linguaggio parlato si pongono in evidenza ad evocare i non sensi di matrice marinettiana . Il Fotoprodotto rappresenta, così, la più equilibrata integrazione tra i linguaggi della letteratura, della moda e della fotografia.
 Giorgio Rigon
gi.rigon@virgilio.it

Bressanone, febbraio 2009


[1] Von Bertalanffy L., Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppi, applicazioni, ILI, 1968.

René Magritte, L'uso della parola,1928-1929. Olio su  tela,54,5x72,5 cm., New York Collezione privata.


Giorgio Rigon, Tavole parolibere, 1994, cm. 30x40, collezione privata.